Lettera aperta ai poeti

Cari lettori,
Il rifiuto, moderno, del passato non ha nulla di glorioso. Dovrebbe essere chiarito ciò, una volta per tutte. A tutti gli “scrivitori di versi” (L’espressione appartiene a Marcello Eydalin) vorrei ricordare, con questa aperta lettera, che la tradizione va superata, non evitata.

La nuova poesia è destinata ad un compito, oggi, a dir poco impegnativo (cosa che tuttavia è sempre stata tipica dell’arte in quanto tale). Questo compito è fondamentale e sostanzialmente lo stesso di sempre: preservare la bellezza e l’umanità dell’uomo, conservare e coltivare tutto ciò che ci pone e ci possa un domani porre al di la dell’aristotelico “animale sociale”.
Sono cambiati tuttavia i termini di tale espressione poetica, sono cambiate radicalmente le forme e gli spazi poetici così come è cambiata totalmente la veste e l’essenza del lettore. Antropologicamente non resta nulla del vecchio lettore, il viso e gli occhi dell’acculturato sono cambiati, sono scettici verso il “culturame” (Pasolini) e verso qualunque cosa li faccia sentire sbagliati, strani, diversi o inadatti. Odio e disprezzo sono classici sentimenti, seppur mascherati, provati verso il culturame, maledettamente inutile ed avverso all’utilitarismo lavorativo che impone un regime consumistico.

La nuova poesia ha bisogno di superare la tradizione, poichè la tradizione è oggi, palesemente, morta e sconfitta.
La nuova poesia ha bisogno di nuove parole, da ricercare al di fuori dal vecchio e dal presente.
La nuova poesia deve certamente scartare dalla norma. Tuttavia, e questo è il vero intento di tale lettera aperta, la nuova poesia (seppur di nascosto forse) ha bisogno, e non può trascendere, dal rispetto e dalla conoscenza profonda del padre.

Mostruoso è il figlio nato dalle viscere di una donna morta, ancor di più lo è colui che la tomba disprezzi.

(Giorgio Pesti)

50 comments

  1. bellissima e molto vera…direi che il compito della poesia oggi è quello non solo di preservare la Bellezza, ma anche di farla rinascere nel cuore dell’uomo…credo nella potenza delle parole, che scavano nell’animo di chi le legge o le ascolta…una parola può e deve cambiare il mondo, non smetterò mai di crederlo..
    grazie per questo post

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      1. Ti ringrazio per il commento. Scoprire che c’è ancora chi si emoziona, scoprire che queste parole fanno vibrare non solo chi le scrive.

        Ho scelto da poco di rivelarmi al mondo e per ora, il mondo, mi sta accogliendo meglio di quanto sperassi.

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  2. Indubbiamente il passato è la chiave per nuove forme nell’arte, considero il riciclo di forme ormai morte un tentativo che possa in qualche modo elevarci verso un domani di NOVITA’, tuttavia lo scetticismo nei confronti del “culturame” deriva in gran parte anche dall’omologazione che ha subito l’arte, dal fare tutti arte, dal considerare tutto arte, questa omologazione ha causato l’inaridimento dell’arte, al di là della dimenticanza degli antenati. Sembra quasi che oggi non si distingua più tra tutta quell’arte così considerata dai più, e il pubblico è diventato un gregge impazzito che sbatte contro i muri di questa immensa omologazione. Forse, al di là del passato/futuro, vecchio/nuovo, bisognerebbe trovare la via per distinguersi, emergere ed elevarsi dal magma in cui soffoca l’arte contemporanea.
    Ottime riflessioni, comunque.

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    1. Condivido appieno ciò che hai scritto, è molto pasoliniano, non è incluso nella lettera per motivi di lunghezza, non per superficialità. Non volevo renderla troppo pesante. Emergere ed elevarsi dal magma è esattamente ciò che dobbiamo fare, e per farlo bisogna superare la tradizione. Il problema sorge adesso: come può elevarsi un uomo se tutti insieme tentano l’impresa? Immagina cinque uomini che contemporaneamente passino dalla stessa porta.
      Non è facile, ma certo io credo che si debba anche imparare dalle tradizioni e dagli esempi, imparare a risollevarsi e a rivoluzionare dalle vecchie rivoluzioni, da Copernico ad Einstein, da Platone ad Hegel, da Virgilio a Dante. La storia non è “magistra vitae” (Machiavelli), e va superata, ma ciò non senza averla prima resa propria.
      Ottima risposta, comunque.

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  3. Buonasera, Giorgio, da oggi seguo anch’io il tuo blog.
    Ho letto con interesse e condivido gran parte delle tue affermazioni, in primo luogo il fatto che il nostro compito sia quello di coltivare e preservare la Bellezza.
    Mi è piaciuta la citazione di Marcello Eydalin, che ebbi modo di conoscere nel 1973, in occasione del conferimento del Premio Martoglio a mia madre Daniela.

    Un cordiale saluto.

    Federico

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  4. Sia pur vero che solo chi oserà
    varcare quei confini che, di carta,
    stringon da presso, potrà disvelare
    quello che domina oltre Atene e Sparta.

    Chi, ti chiedo, saprà poi ritornare
    al luogo che dà vita all’arte alta?
    Colui che si disperde nel cercare
    è destinato a non più mai parlare.

    Un albero che scorda le radici
    potrà per poco viver di gran vaglia
    ma presto morirà, secco e spezzato.

    Tenete bene a mente, cari amici,
    chi guarda spesso indietro non si sbaglia
    perché il futuro è incerto come il fato.

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    1. Per quanto io condivida, fondamentalmente, molti dei concetti qui espressi. Questo è un genere di poesia che io non approvo, in quanto ancora molto attaccato alla tradizione poetica anche settecento/ottocentesca, c’è bisogno di novità e poesie del genere, per quanto poetiche, non sono adatte al nostro tempo e ai nostri spazi.

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      1. Non è forse meglio ricercare l’armonia invece del nulla poetico tanto caro ai contemporanei (poeti e lettori)?
        Naturalmente rispetto l’opinione di tutti, ma per me “poesia” è ricerca di equilibrio tra forma e sostanza. Preferisco di gran lunga scrivere un Sonetto che non una cosa amorfa. L’ho fatto per un periodo, ma l’emozione soltanto non fa poesia

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      2. L’emozione soltanto è e resta come tu dici “emozione soltanto”, senza dubbio. Tuttavia la poesia, come tutte le arti che sperano di continuare ad esistere, ha bisogno di evolversi. E allora ecco che d’Annunzio ricerca l’armonia spezzando l’endecasillabo, dando vita ad una vera e propria rivoluzione, ecco che Pascoli valuta l’importanza del significante oltre il significato, la rima perde centralità in alcuni autori e ne mantiene in altri, la regolarità si spezza a favore di un armonia più scostante e caotica ma non per questo meno ritmata, ricercata o raffinata.

        La poesia oggi non può più essere né quella epica di omero né quella di Dante né tanto meno l’estetismo dannunziano, non può così come come questi esempi, ai loro tempi, non furono nulla di ciò che c’era prima.

        Il tempo del sonetto è finito, e ciò va detto tuttavia, come consiglia la lettera (questo è il suo primo fine), con cognizione di causa e consapevolezza. Dire che il tempo delle rime o della regolarità sia finito non significa decretare una semplificazione della poesia, anzi! Il mondo è caos, oggi. Ed il caos è molto più complicato da rappresentare di qualunque sistema organizzato. Così la poesia, specchio poi sempre della vita, deve compiere oggi una fatica enorme per mantenere se stessa (ritmo, armonia, scelta, precisione e tanta tanta pazienza) pur restando fedele al caos imperante. Questo è fare poesia oggi, non improvvisarsi scrivitori di versi semplificando tutto e nemmeno restare attaccati come parassiti ad una tradizione che è espressione di un mondo non più contemporaneo.

        Si la tradizione, fondamentale e da conoscere sempre e rispettare, ma quando prendiamo la penna in mano oggi, bisogna essere coscienti che scriviamo appunto oggi. Scriviamo per scrivere come noi scriviamo, non come scriveva Alfieri.

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      3. Non dimenticare che D’Annunzio e Pascoli erano, tuttavia, perfettamente in grado di usare la tradizione, al punto da partirne per creare qualcosa di nuovo. Oggi chi è capace di usarla? Quale poeta contemporaneo si prende più il disturbo di imparare prima di scrivere? Forse la Merini? O Aldo Nove? Dove sta la conoscenza che ti fa dire “Io scelgo di farne a meno”? Oggi i poeti sono pigri e, in buona parte, ignoranti come le capre. Certo che la poesia può ancora essere epica come quella di Omero. Chi dice di no? Ma quello tocca la sostanza, non la forma. E se la poesia oggi non può essere più quella di Dante mi chiedo perché ho sprecato tre anni di Liceo a studiarlo. Io non credo che non sia più tempo per il Sonetto. Bisogna trasformarlo, forse, ma non relegarlo in un angolo con la scusa dell’età. E lo stesso vale per le altre forme.
        Il mondo non è caos. Il mondo è definito dalle assenze. La gente è definita dalle assenze e dalle mancanze. E così si scrive anche oggi. La poesia contemporanea spicca per le assenze.
        Chi si improvvisa poeta oggi non ha capito che scrivere è lavorare e faticare. Quando leggo “Io scrivo di getto” mi viene da ridere.

        Poi, non ho le verità assolute in mano, e non definisco la realtà, ma se fosse davvero quella che mi presenti la poesia contemporanea mi accontento molto volentieri di provare a mantenere viva la tradizione.

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  5. Si vede che non hai letto bene la mia risposta quando mi dici

    “Non dimenticare che D’Annunzio e Pascoli erano, tuttavia, perfettamente in grado di usare la tradizione, al punto da partirne per creare qualcosa di nuovo.”

    Ti ripeto, citandomi:

    “Si la tradizione, fondamentale e da conoscere sempre e rispettare”

    Conoscere, conoscere, conoscere in senso biblico non in senso “ah si, l’ho sentito dire”, per quello hai passato tre anni di Liceo a studiare Dante.

    Per quanto riguarda invece il sonetto, citato ovviamente per esempio, è chiaro che può ancora esistere ma, come dici tu stesso (contraddicendoti), solo modificato.
    E migliaia sono gli esempi, nella letteratura moderna, di forme antiche riprese ma “aggiornate”.

    Per quanto riguarda il discorso che fai sulle assenze, negando il caos, mi viene il dubbio se il tuo parlare sia effettivamente giustificato o se tu per prima non conosca una buona fetta di letteratura. Basterebbe citare Tasso, per rientrare nella tradizione pura, per appoggiare la “tesi” del mondo come caos. Più moderno viene in mente Borges, ma anche Cervantes e centinaia di altri come David Foster Wallace, Eco stesso.

    La poesia, quella che ti presento, è fatica, conoscenza e lettura prima di tutto, forse anche più di quanto tu stesso non abbia ancora fatto. Con ciò non intendo dare giudizi sulla tua preparazione, in quanto non mi riguarda, ma chiarire il mio punto sull’idea di poesia.

    Per espresso mi piacerebbe che tu leggessi, alla luce di quanto dici, Pessoa, Pasolini, Majakowskij, per citarne alcuni.

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    1. Dire: quando leggo “io scrivo di getto” mi viene da ridere,
      personalmente mi sembra una forma di ostruzionismo “letterario colto” contro l’arte che fa dell’impulso creativo la sua base e la scintilla da cui parte il grande incendio che ne deriva successivamente. L’impulso creativo va distinto dalla tecnica, quella di cui tu parli, chiamandola ARMONIA, in realtà è tecnica, o meglio tecnicismo, i tecnicismi non fanno arte, una poesia può anche essere scritta in giambi ma è pur sempre un tecnicismo. All’epoca dei greci, ad esempio,spesso la poesia era poesia orale, era tramandata oralmente e l’uso di metriche particolari adempiva allo scopo di poter essere ricordate facilmente da aedi o rapsodi che della poesia facevano la loro ragione di vita. L’intera Iliade, ad esempio, esigeva una determinata metrica e determinati tecnicismi senza i quali probabilmente non avremmo mai potuto usufruirne ai giorni nostri, persa nella memoria dei tempi. Oggi, come dice Giorgio, appoggiando a pieno la sua posizione, la poesia ha bisogno di altro, di evolvere, anche io non amo leggere, oggi, poesia simil-ottocentesca, e a dire la verità la poesia che da sempre mi ha rapita non è stata quella rimata, i sonetti, Dante, la metrica classica, bensì quella irregolare, quella spigolosa, la poesia maledetta, Baudelaire, Rimbaud, la poesia che non fa del tecnicismo il suo unico SENSO, perchè alla fine è di questo che si tratta: IL SENSO. Una poesia, rimata o no, in metrica o no, irregolare o rotonda che sia, deve avere SENSO, e il senso c’è o non c’è. Non basta certo mettere due stanze una dopo l’altra per costruire una casa (occhio al doppio senso con la stanza poetica), servono le fondamenta, i muri, la fatica, l’impulso a costruire, e tutto questo non ha nulla a che fare con la tecnica, chiunque può imparare la tecnica e farne uso, ma se manca il senso profondo delle cose non si va da nessuna parte. Quella che tu definisci ARMONIA, o ASSENZA DI ARMONIA, non corrisponde al vero fine dell’arte, ossia la bellezza, e la bellezza è l’unico senso verso cui si dovrebbe sbattere la testa. L’impulso creativo, l’immediatezza: questa è la svolta per un futuro, questo è ciò che si è perso nella noia del fluire del tempo. Bisogna rispolverare l’impulsività nell’atto creativo, e questo non è modernità, in tono sprezzante come la intendi tu, bensì è evoluzione, e chi non si evolve soccombe al Tempo.

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      1. non è affatto ostruzionismo la mia affermazione. Anch’io scrivo d’impulso le mie cose, ma poi ci lavoro su. La frase che mi fa ridere è quella che usa chi butta giù due righe in croce (ma anche mille righe) e chiama quello che ha scritto “poesia introspettiva” o cose così. Non so se hai letto che per me poesia è ricerca di equilibrio tra forma e sostanza. Equilibrio significa che non parlo di tecnica pura (come dimostri di aver capito tu) né di puri contenuti. E in una poesia non puoi distinguere quello che scrivi da come lo scrivi, non puoi scindere la tecnica dal messaggio.
        L’esempio della lirica greca non ha senso in questo contesto, perché si parla di Sonetti, e qui la tecnica non ha più funzioni pratiche per la memorizzazione.
        Citi poeti francesi. Ti faccio una domanda: hai letto Baudelaire o il suo traduttore? Hai letto Rimbaud ol il suo traduttore?

        L’impulsività dell’atto creativo non è mai venuta meno, e di certo non è un’invenzione dei moderni. Dante, Petrarca, Boccaccio, Boiardo, Tasso e mettici tutti quelli che vuoi esprimevano impulsi creativi esattamente come Baudelaire o Bukowski.
        Quello che critico io è la poesia di cattivo gusto di Aldo Nove o la poesia prosaica di Dante Maffia, tanto per citarne due.

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      2. Francesco Vitellini già mi riesce difficile prenderti sul serio dato il tuo avatar, poi si aggiunge il fatto che ritorni sui tuoi passi quando dici che il tuo non è ostruzionismo e che anche tu scrivi di impulso ma che poi ci lavori sopra, beh già questo tuo intervento postumo alla creazione non fa altro che appesantire e irrigidire l’atto creativo, sottomettendolo alle leggi della metrica e della poesia armonica come dici tu. Ok che la poesia è armonia tra forma e contenuto, però qui non si sta parlando di cosa è armonia o cosa non è armonia. Qui si sta parlando della subordinazione che subisce l’arte pura e immediata, istintiva, quella che nasce dal profondo come un impeto di energia che esplode ed esprime contenuti sotterranei, dell’inconscio, di mondi non visibili, ma per questo non meno reali di altri; subordinazione alla tecnica, perchè il “lavoro” che tu attui sulla tua poesia scritta di getto è tecnica, tu applichi delle regole, cerchi di aggiustare e correggere per ottenere una forma fluida, una poesia con un ritmo ecc. Questo lavorarci postumo è una forzatura. L’artista, per come lo concepisco io nella mia testa poi ognuno è libero di pensarla come vuole, non ci lavora su, non si mette a tavolino a calcolare i versi, le rime, le stanze, il numero di sillabe, non si mette a controllare se ci sia armonia o meno, semplicemente lui crea e punto. Poi se quello che crea non ha l’armonia che tu cerchi, allora non piacerà a te, così legato alla poesia regolare, ma magari piacerà a qualcun altro che vede l’armonia anche là dove armonia non esiste per te, e ripeto, per te. L’armonia sta anche nel caos, l’armonia è caos. Ciò che tu chiami armonia è regola. La regola è una catena, è una sottomissione dell’impulso creativo. Forse il punto è questo: non ci si concentra troppo sulla regola, tralasciando l’emozione e il senso profondo delle cose? Forse non si dovrebbe restaurare questo legame viscerale con ciò che si crea, senza stare lì a tavolino a sezionarlo e tagliuzzarlo come se fosse carne da macello. L’immagine credo proprio che sia appropriata. Con questo non sto dicendo che le regole, la tecnica, non servano. Un artista le studia, le conosce, ma va al di là, esplora i mondi che ci sono sotto, quelli nascosti, e cerca di esprimerli come può, e la bellezza sta proprio nella spontaneità dell’atto. Poi c’è chi ci riesce e chi no, chi crea scemenze e chi no, ma d’altronde non tutti sono poeti, e credimi nel giudicare chi sia capace e chi no sono molto severa, ma resta un giudizio personale. Inoltre cosa ne sai che io abbia letto la traduzione e non la poesia in lingua originale? Ebbene caro mio, poiché sono una purista, le cose me le leggo sia nella lingua originale, sia nella lingua tradotta. Quindi ti faccio presente che Baudelaire, Rimbaud, e non solo loro, li ho letti (e studiati) in francese, poi li ho letti in italiano e sono perfettamente consapevole del fatto che nella traduzione si perde sempre qualcosa, la musicalità delle parole ad esempio. Ed ecco perché compro sempre i testi con la lingua originale a fronte, idem per le opere greche, per omero, odissea, oppure Virgilio, oppure altra poesia antica, latina, greca o di altra lingua che sia. Avendo studiato linguistica e glottologia posso assicurarti che ogni lingua ha la sua musicalità, il suo ritmo, ma che tutte sono collegate tra loro, e ognuna riesce ad esprimere in maniera adeguata il proprio senso: basta che questo senso ci sia!

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    2. Inoltre, se posso permettermi, anche io da ex liceale classica, posso concludere dicendo che la tecnica viene insegnata, noi la impariamo, la impariamo dai nostri antenati poeti e scrittori, ma alla fine concentrandosi così tanto su questa benedetta tecnica si tralascia tanta bellezza, si studia la Divina Commedia in maniera pedissequa, e si tralasciano tanti altri scrittori a mio parere molto più ispiranti e fertili del caro Dante (non me ne voglia!), nomi misconosciuti, opere dimenticate, mai citate nemmeno dagli insegnanti più eruditi e vetusti.
      Insomma, Miller (Henry) aveva ancora una volta ragione nel dire, negli anni ’30/’40, che non ci si deve meravigliare se dalle scuole escono più bravi ingegneri, che poeti o artisti!!

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      1. Sono d’accordo con te, eccetto per la questione dantesca che è tuttavia personale. Io amo ed ho amato dante fin dai tempi del liceo, tuttavia concordo con te nel criticare il modo, esagerato a volte, in cui si studia Dante, trasformandolo da poeta a pedante e barboso insegnante, staccato dalla realtà.

        Citando T.S. Eliot (Un altro fantastico esempio di tradizione pure mista a caos e innovazione totale) “si può imparare più da Dante che da qualsiasi poeta inglese”

        Perdonami alraune la pura ed inutile precisazione di gusto personale, per il resto condivido a pieno la tua posizione!

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    3. Mi era sfuggita la tua risposta (non è arrivata la notifica).

      Ho letto bene la tua risposta, soprattutto il tuo “ma”.
      Quando ti citi citati per intero 🙂
      “Si la tradizione, fondamentale e da conoscere sempre e rispettare, ma quando prendiamo la penna in mano oggi, bisogna essere coscienti che scriviamo appunto oggi.” Questo per me implica che “scrivere oggi” è diverso da “scrivere ieri”, il che non riguarda i contenuti, che sono gli stessi da secoli, e, per esclusione, può riguardare solo la forma. Il tuo “ma” implicitamente diminuisce la forza dell’affermazione precedente.

      Quanto alla presunta contraddizione, non so se hai notato il “forse”, che vuole essere una concessione al tuo ragionamento. Se trasformi un Sonetto quello che ti rimane è un Sonetto, altrimenti stai scrivendo altro, mi pare.

      Se stiamo facendo un discorso sulle regole della poesia e tu giustifichi la scomparsa di qualsiasi regola di scrittura con “il mondo è caos” io posso benissimo non accettare questa tua visione. Una scrittura senza regole è definita proprio in virtù di questa assenza: assenza di regole, assenza di conoscenza, assenza di impegno, assenza di umiltà, assenza di capacità e, non secondaria, assenza di talento.

      Quello che vedo io nella poesia contemporanea non è fatica e conoscenza, ma pura e semplice emotività su carta, pensata male ed espressa anche peggio. Qualcuno ama ripetermi che la Poesia tradizionale è noiosa e piena di clichè. La poesia contemporanea ha cambiato solo il tipo di clichè e abbandonato le regole, e questo, ai miei occhi, la classifica come qualcosa di inferiore, un sottoprodotto 🙂

      Ti ringrazio per i consigli di lettura, ma non leggo il portoghese e nemmeno il russo (e diffido pesantemente delle traduzioni in italiano di poeti stranieri). Pasolini non mi piace.

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      1. Citandoti:
        “..Una scrittura senza regole è definita proprio in virtù di questa assenza: assenza di regole, assenza di conoscenza, assenza di impegno, assenza di umiltà, assenza di capacità e, non secondaria, assenza di talento…”
        E poi mi vieni anche a dire che il tuo non è ostruzionismo??!!
        Ma per favore!? Sei in contraddizione perenne, e pecchi di saccenza, perché se tu dici che l’assenza di regole implica di fatto assenza di conoscenza, di talento, impegno, e capacità, allora io potrei dirti che la tua ossessione per le regole implica di fatto assenza di evoluzione, di audacia, di fantasia creativa, di emozione.
        Forse sei di quelli che quando legge qualcosa controlla prima la metrica, la regolarità dei versi, delle strofe, le sillabe, la grammatica poetica, anziché concentrarsi sul messaggio che vuole esprimere.
        Tu stai offendendo, saccentemente, tutti coloro che si esprimono al di fuori delle regole da te considerate INDISPENSABILI per definire cosa è poesia da cosa non lo è.
        Hai il paraocchi, e il tuo essere ottuso lo dimostra pienamente.
        Noi non ti abbiamo mai detto che essere così concentrati sulla tecnica, regola, armonia, chiamala come cavolo ti pare, significa essere privi di tutte quelle qualità che invece hai tranquillamente tirato in ballo tu, offendendo gratuitamente chiunque non faccia “poesia” come la fai tu. Inoltre dimostri di essere anche poco incline ai consigli e di apertura mentale molto ridotta, dato che escludi a priori poeti che sono di altre lingue solo perché non conosci la loro lingua originale, e mi viene da pensare che tu Pasolini non lo abbia mai letto (ed è in italiano) e che non ti piaccia “a priori”, solo perché sai già che non corrisponde ai tuoi CANONI ECCELSI!
        Beh mi dispiace dirlo ma prima di dire NON MI PIACE, bisogna farne esperienza, e solo DOPO si può avanzare un giudizio, perché altrimenti i tuoi non sono altro che PREGIUDIZI.

        Con affetto, alraune. (che è tedesco cmq).

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      2. Ho sempre e solo proposto quella che è la mia opinione 🙂
        E dubito che dire a qualcuno “quello che tu scrivi a me non piace” sia offenderlo. Quanto alla citazione che riporti è esattamente così: l’assenza di regole è assenza di impegno, perché a fare versi sono bravi anche gli asini, no? Se, però, ti interessa avere la mia opinione (è un “tu” genercio) sappi che io in una poesia giudico anche la forma, non solo la sostanza.
        Non escludo poeti stranieri perché non conosco la lingua, ma se devo dare una valutazione al senso di una poesia devo leggerla in originale, perché tradurre i concetti da altre lingue in italiano (e viceversa) è un’operazione estremamente difficile. Un esempio su tutti sia la traduzione di “Me gustas quando callas”. In italiano solitamente lo traducono con “Mi piaci quando taci” che non si può leggere.

        ps: se rileggi i miei commenti puoi trovare giudizi negativi, certo, ma le offese le trovi solo in questo tuo 😉
        Ho letto Pasolini, e non mi piace. Ho letto la Merini, e non mi piace, ho letto in traduzione Bukowski, e non mi piace. Ho letto alcune cose di Aldo Nove, e non mi piace.
        Al contempo ho letto Luzi e mi piace, ho letto Sanguineti e mi piace, leggo Massimo Botturi e mi piace. E tutti loro, come ben sai dall’altro della tua preparazione, non usano forme fisse (o non sempre).

        Wenige wissen, wie viel man wissen muss, um zu wissen, wie wenig man weiß.
        Und das ist auch Deutsch.

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      3. Sei bravo a rigirare la frittata, ma con me caschi male. Bene, se li hai letti e non ti sono piaciuti allora non dirò che sei pregiudizioso, ma che hai il paraocchi si 🙂

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      4. Inoltre, se pochi sanno quanto è necessario sapere per sapere quanto poco si sa, come scrivi tu, beh allora dovresti anche sapere che non basta sapere per riconoscere chi sa fare e chi no e questo è italiano, perché a scrivere giri di parole in tedesco son bravi tutti, ma scrivili nella tua lingua che la gente sa rispondere adeguatamente.

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      5. Deutsch ist meine Muttersprache. Wenn du auch Deutsch verstehst und nicht irgend einen Onlineuebersetzer benutzt hast dan schreibe ruhig weiter auf Deutsch.
        Ansosten lass es sein, du blamierst dich nur 🙂

        Quello in cui sono bravi tutti è “fare versi”. Pensa, anche gli asini li fanno…

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      6. Io scrivo versi, non li faccio (uso la tua definizione).
        Quindi no, sono un tecnico 🙂

        Un po’ di coerenza 😉

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      7. Perdonami, ero occupato e ho letto solo ora la risposta.
        Andrò con ordine, seguendo il tuo commento:

        “Il tuo “ma” implicitamente diminuisce la forza dell’affermazione precedente.” Non si chiama diminutivo, ma avversativo, hai visto il valore delle parole? Non mi dilungo su questo.
        Per quello che riguarda i contenuti, dire che sono gli stessi da secoli equivarrebbe ad un analisi, a dir poco, superficiale della poesia. “Il pianto della scavatrice” non poteva certo essere scritto da Omero.

        Per quanto riguarda il discorso sul sonetto, che tu presuntuosamente e con un arroganza a cui costringi ognuno dei tuoi interlocutori, hai deciso di ripetere inutilmente, dicendo che esso pur “trasformato” non cambia, non fai altro che di nuovo palesare una sicurezza su ciò che sia un sonetto (o una poesia qualsiasi) che è indice solo di grande superficialità. Se un sonetto trasformato resta sempre un sonetto, qualunque poesia trasformata resta sempre poesia, così non esiste il sonetto, non esiste il madrigale, non esiste la canzone, non esiste nulla. Basterebbe un poeta e una sola poesia, unica, perfetta, totale. Ridicolmente semplicistico e superficiale, oltre che chiaramente fazioso.

        “Se stiamo facendo un discorso sulle regole della poesia e tu giustifichi la scomparsa di qualsiasi regola di scrittura con “il mondo è caos” “
        Mai giustificato alcuna “scomparsa di qualsiasi regola di scrittura” e certo mai ho inteso tale assurdità. Anche il caos ha le sue regole, di nuovo (perdonatemi la prolissità coatta) un pensiero del genere presuppone un idea delle regole poetiche come unicamente regole dell’Ordine, presuppone che ci sia un certo “canone esatto di poesia” (il che è di per se assurdo), di ritmo, di forma e di armonia, al di fuori del quale non possa esistere bellezza. Come se non potesse esistere bellezza (e verità) al di fuori dell’autorità.
        Scusatemi signori, ma ditemi se questo non è ignorante e superficiale, per non esagerare e dire di peggio.

        Ciò che cerchi, nella poesia, è sbagliato, molto più di ciò che tu ci trovi. Se cerchi con gli occhi di chi sa ammirare solo antiche poesie perchè canonizzate da ciò che altri (molto più grandi ed aperti di te) hanno riconosciuto (quando era a loro contemporaneo), non troverai mai nulla, nemmeno di fronte alla più rigogliosa delle foreste (Non a caso non hai il coraggio di dire che Pasolini fa schifo, perchè è stato lodato dagli stessi giganti che tu consideri inviolabili). Sempre, per te, sarà inferiore ciò che è a te contemporaneo, poichè, come mi hai esaurientemente dimostrato, non riesci a crescere, non riesci ad andare oltre, non riesci a vivere quello che è la Vera poesia, la vera lettura, che è poi profondamente sentire.

        La diffida pesante verso le traduzioni italiane di poeti stranieri, seppur in parte giustificata è vero, resta una chiusura mentale enorme poi. Oltre che offensiva per grandissimi traduttori, che con tal arduo lavoro hanno scelto di cimentarsi (Montale ad esempio, dice nulla?), resta da una parte la scusa di chi non ha voglia, dall’altra di chi non sa riconoscere il valore di certi traduttori e al contempo poeti. Vladimir Nabokov, russo, ha scritto “Lolita” in inglese, l’ha pubblicato per la prima volta in francese, e poi solo successivamente riuscì a farlo tradurre e pubblicare in Russia.
        La tua questione della lingua, mio caro, resta estremamente superficiale, come tutto il ragionamento che hai fin qui condotto.

        Vanti grande profondità, conoscenza, fatica, intensità, tutte così che trasudano dal tuo discorso. Peccato che il tuo sia mero snobismo pseudo-intellettuale, che poi non sfocia altro che in una reale superficialità, in una sterile intolleranza al nuovo e in tutto ciò che è l’anti-arte, dunque l’anti-vita.

        P.S. Non dirmi “come ti permetti”, poichè presuntuoso tu sei stato per primo, con me e con gli altri. Presuntuoso e arrogante, come si confà d’altronde a tutti coloro che oltre che insicuri si credono grandi signori. I re della superficialità e dell’ignoranza.

        Giorgio Pesti

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      8. Non ho mai risposto con “come ti permetti” perché io, al contrario di altri, non pretendo che il mio punto sia condiviso. Ti porgo semplicemente il mio, senza nulla chiedere. Va da sé che quando qualcuno si sente punto sul vivo iperreagisce (il presente caso, per esempio). Ho già avuto questo tipo di discussione con Gramellini, e lo trovo troppo tedioso da rifare. Nessuna poesia fa schifo, perché dietro ognuna c’è l’intenzione di un messaggio, di un pensiero, e questo va supportato. Quanto al “come” lo si esprime, beh, quello è sempre fonte di dibattiti, no?
        Un sonetto è tale perché segue certe regole precise, regole che cambiano per altre forme poetiche, giusto? Allora se io trasformo un sonetto (per esempio lo divido in tre quartine e un distico) io ho trasformato un sonetto. Se prendo un sonetto e cambio accenti, lunghezza dei versi e rime, e lo traformo in qualcosa di diverso, allora non avrò più un sonetto, ma altro. Quindi il mio “trasformare un sonetto” è diverso da “trasformare un sonetto in…” Giusto perché parli del valore delle parole.
        Il tuo “ma” ha la funzione di smentire in parte l’affermazione precedente, o di circoscriverne la validità, e, pertanto, ne diminuisce il valore, la forza.
        La mia idea di poesia è quella che ho riportato sopra: ricerca dell’equilibrio tra forma e sostanza. Se l’una o l’altra è preponderante allora c’è disarmonia, che a me non piace. Ciò non significa che non esista “il bello al di fuori di un canone esatto di poesia”, ma, allo stesso tempo, non posso non trovare povero quello che manca di forma.
        Io non cerco con gli occhi quello che altri dicono essere bello, ma quello che piace a me, con il mio bagaglio di conoscenze e gusto, tutto qua. E nella poesia contemporanea non trovo piacere, non trovo valore.
        Non replico sull’appunto che mi fai sulla traduzione perché essendo un traduttore so bene di cosa parlo, e conosco anche il panorama dei traduttori in Italia. Montale è uno, e Montale sapeva quello che faceva. Se ne trovi più di altri 5 ti dico bravo.

        Scegli bene le parole quando scrivi, te lo concedo, ma la tua indignazione (per non parlare delle offese malcelate) non sono altro che una posa da pseudo-conoscitore del mondo e da persona che si prende troppo sul serio 🙂

        Detto questo, ti ringrazio per l’attenzione, pur mancando il tuo confrontarti completamente di grazia (dubito che commenterò più qualcosa di tuo se ogni volta mi devo aspettare questo tipo di reazioni…)

        PS: so che quando ci si abitua ai peana una critica diventa difficile da digerire, ma cerca di essere più aperto 🙂
        PPS: “un’idea” si scrive con l’apostrofo (e ora non modificare il commento che ti ho sgamato) 🙂

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      9. Bellissimo il tuo PPS (che tra l’altro c’andrebbero i puntini, ma va bene uguale) su quello che è, ovviamente, una svista di battitura.

        “La tua indignazione non sono altro” ecc. ecc. Impara a concordare i verbi prima di guardare gli apostrofi.

        Il mio “ma” ha valore AVVERSATIVO, c’è bisogno che ti spieghi che significa? Non è circoscrivere, non è diminuire, è un valore a-v-v-e-r-s-a-t-i-v-o. (Il ragionamento, due versanti, A e B)

        “La mia idea di poesia è quella che ho riportato sopra: ricerca dell’equilibrio tra forma e sostanza.” La tua idea di poesia è canonica e trova la bellezza solo all’interno del suo canone. Non mi scrivere, falsamente, che “Ciò non significa che non esista “il bello al di fuori di un canone esatto di poesia””.
        Che poi per fortuna torni sulla sincerità dicendo: “ma, allo stesso tempo, non posso non trovare povero quello che manca di forma.”

        Il mio confrontarmi è tale poichè l’interlocutore si pone in tale modo, ed evidentemente non sa recepirne di diversi. Infarcire il discorso di infantili quanto inutili smile ( 🙂 ) non ti rende meno presuntuoso, arrogante, superficiale e ignorante. Ripeto.

        Sii sincero, con te stesso e con gli altri per primi, allora si potrà avere una conversazione in altri toni, cosa che mi farebbe piacere assai.

        Di traduttori non ne esistono tanti così come di poeti, ma banalizzare e dire che le traduzioni sono da diffidare è, come al solito, superficiale.

        Attaccarti a questi formalismi autoritari non aiuterà il tuo ragionamento ad essere coerente.

        Per concludere, la cosa più importante di tutte:

        “Ti porgo semplicemente il mio, senza nulla chiedere. Va da sé che quando qualcuno si sente punto sul vivo iperreagisce (il presente caso, per esempio).”

        Non permetterti, mai più, di parlare di assenze, di alcun tipo, figuriamoci di talento, se poi devi rivelarti così vuoto e superficiale. Tu non poni semplicemente il tuo punto di vista, tu presumi più di quanto sia concesso a chi si difende dicendo di esporre semplicemente il suo punto di vista.

        P.S. E corrisponde al tuo (PS), non predicare l’apertura, quando sei così rigidamente canonico e settario.

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      10. Dai, lasciamo perdere.
        Mi sembra di tornare a parlare coi grillini…

        Cerca di cogliere il valore e il significato di una battuta, invece di sentirti sempre attaccato.

        La mia opinione è che il 90% della poesia contemporanea sia brutto, il 5% scritto bene ma vuoto e il 5% degno di essere letto.
        IO continuerò a usare la tradizione perché credo sia giusto così, tu divertiti a superarla (e fammi sapere quando ci sarai riuscito).

        Il resto è solo discutere per l’amore di discutere, e mi hanno stancato questi continui confronti con persone che si sentono palesemente offese se non sei d’accordo con loro.

        Ti auguro una buona vita

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      11. Grazie a Dio per lo meno hai abbandonato quei ridicoli 🙂

        Finalmente, direi poi, un commento sensato e civile. Questo mi piace davvero molto!

        Il 90% della poesia contemporanea ecc. ecc. sono opinioni, condivisibili o meno, nulla da ridire se non: che ci voleva a dire così subito? Risparmiandosi quegli inutili e insensati discorsi? Mistero.

        Che io mi sia sentito offeso, ti posso dire personalmente di no, se ti fa piacere non me la son presa.

        Detto questo permettimi un ultimo appunto:

        TU sei libero di continuare a usare la tradizione, ti dico solo che anche IO l’ho fatto, a differenza di come magari potrebbe sembrare. IO ho “usato la tradizione” per quelli che sono stati diversi anni, ma non ho mai pubblicato nulla di tutto ciò e mai lo farò.

        Scrivere versi già scritti, oltre che inutile, uccide il futuro di qualsiasi altro poeta, che sarà sommerso da copiatori amanuensi ed emulatori.

        Finiamola qua, grazie.

        Giorgio

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      12. Io ho fatto il percorso contrario, dall’assenza totale di regole alla tradizione. Succede.
        La mia non avversione per chi non usa schemi la comprenderai dal mio blog a cui ti sei iscritto poco fa, poeti d’ombra.

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  6. Sono d’accordo. La poesia e’ Una delle poche code vive rimaste, anzi, ha proprio Il compito di rianimare cio’ che e’ in stato di stasi o di sonno permanente. Il vecchio e’ pass to. La poesia, come tutte le cose vive, se vuole rimanere tale deve avere Il coraggio di andare verso l’ignoto, esplorarsi ed esplorare. La cosa difficile per Il poeta, secondo me, e’ trovare spazi autentici in cui esprimersi e dove poter assorbire Vera ispirazione. Questo nei giorni moderni non e’ facile ed Il rischio di cedere all’utilitarismo per molto e’ reale.

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    1. Tutte queste discussioni anche discordanti che si fanno sulla poesia sono una prova che la poesia è ancora viva. Quindi ben vengano.,luna certa dialettica fa sembre bene.
      Ricordiamoci però che “c’andrebbero” si legge “candrebbero”, voce del verbo “candare”.
      Va scritto “ci andrebbero” con tanto di apostrofo

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  7. mi piace questo tuo difendere i fondamenti principali della poesia, che sono gli stessi di una volta. Cambia il modo di scrivere, magari anche la tematica, ma la poesia deve rimanere poesia e non andare ogni tanto a capo, perché si deve

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    1. Il punto è che l’andare a capo, anche se è corretto, non fa di per sé poesia. La poesia è altro. Finché non si capirà questo fatto, e finché si continuerà a discutere di metrica, di regole e blah blah, non si andrà mai avanti e l’arte continuerà ad essere immersa nel magma del TUTTO UN PO’. Se non si va avanti non verrà fuori mai nulla di nuovo.

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